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Roberto Toigo, eletto da pochi mesi alla guida della Uil Veneto, analizza la criticità che la sua regione e il contesto nazionale stanno vivendo a causa del covid. La politica manca di progettualità e lungimiranza. Il sindacato, afferma, si impegni a tutelare anche le categorie lavorative e sociali meno protette. Confindustria, sostiene Toigo, ha un problema di rappresentatività.
Toigo il Veneto come sta affrontando la pandemia?
Il Veneto, ben prima del covid, stava vivendo una crisi del comparto industriale e artigianale. Con la pandemia anche il turismo ha visto una contrazione significativa e forti perdite. Il rischio è di vedere, tra due o tre mesi, una regione in ginocchio.
Che cosa serve e che cosa non si sta facendo secondo lei?
Vedo una mancanza di progettualità e di decisione al lungo termine, sia al livello regionale che nazionale. Al livello territoriale il problema non è tanto trovarsi d’accordo su determinate scelte, ma attuarle. Non ci è consentito perdere tempo. Dobbiamo prendere questo momento di crisi come un’occasione per ripensare il mercato del lavoro, la scuola e la sanità.
Con quali strumenti si dovrà gestire il mondo del lavoro passata l’emergenza?
C’è una sola parola, formazione. Nel mondo del lavoro post covid occuperà un ruolo centrale. Ma già da ora dobbiamo ripensare i percorsi formativi, capire quali sono le professionalità richieste e renderli più vicini al mercato del lavoro.
Sanità e scuola sono altri due aspetti tornati centrali con il covid. Quali errori sono stati fatti e dove si deve intervenire?
Quando parliamo di scuola e sanità ci riferiamo a due realtà che più di altre, negli ultimi anni, hanno subito tagli pesanti. La pandemia ha messo drammaticamente in evidenza gli effetti di questi tagli, in termine di risorse e personale. Parlando della sanità veneta, il nostro sistema ha retto bene all’urto del coronavirus, molto meglio di altre regioni, come la Lombardia.
Per la scuola?
La scuola, ma così anche la sanità, richiede degli investimenti di lungo termine. I benefici che rende al paese non si possono misurare nell’immediato. Questa pazienza e questa progettazione, come dicevo, mancano. La politica si muove sul consenso, guarda all’elezione di turno, e questo le impedisce di affrontare in modo serio qualsiasi discorso sulla scuola. In questi mesi è stato il lavoro ineccepibile dei docenti e del personale scolastico che ha permesso alla macchina di non fermarsi. Parliamo di banchi a rotelle, ma abbiamo un sistema scolastico con un forte gap tecnologico, e con percorsi di studio lontani dal mondo del lavoro. C’è stato molto caos e poca programmazione.
Dovuti a cosa?
C’è un’evidente debolezza dello stato centrale. Da Roma si indica una data per la riapertura delle scuole e le regioni si muovono autonomamente, in ordine sparso. Questo genera confusione.
Serve una nuova riforma del Titolo V?
Lo stato deve avere in mano la gestione di alcuni elementi strategici di un paese, come la sanità, la scuola e le infrastrutture. La voglia e il bisogno di autonomia che il Veneto ha dimostrato attraverso il referendum derivano da un’insoddisfazione nei confronti dello stato centrale. Se funzionasse meglio, questo bisogno verrebbe meno.
Cresce la povertà e la rabbia sociale, crescono le diseguaglianze. Che ruolo deve avere il sindacato nel territorio?
Il ruolo del sindacato è quello di difendere non i posti di lavoro ma il lavoro. Per farlo bisogna puntare in modo deciso sulla formazione. È inoltre importante che le aziende che ricevono risorse e finanziamenti pubblici non decidano di delocalizzare, ma rimangano sul territorio. Il covid sicuramente renderà molte famiglie più povere, così come incrementerà le diseguaglianze. Bisogna intervenire redistribuendo la ricchezza, rivedendo anche il sistema di incentivi e sgravi fiscali che molto spesso non finiscono nelle tasche di chi ne ha veramente bisogno. Ma credo che vada fatta anche una seria riflessione sul lavoro sommerso. In una fase in cui c’è il blocco dei licenziamenti e la Cassa integrazione per covid, una buona fetta dei lavoratori è coperta. Altre categorie, come le partite iva e i co.co.co, posso risentirne maggiormente. Ma molti, invece, non hanno più potuto contare sul sostegno derivante dal lavoro sommerso, che andava a integrare il salario. Un'altra cosa che il sindacato dovrebbe fare è quella di allargare la platea dei lavoratori tutelati e garantiti.
Che cosa ne pensa della Confindustria di Bonomi?
Io vengo dai metalmeccanici, e ritengo che una felice conclusione della trattativa per il rinnovo del contratto possa essere un viatico anche per altri settori. Questo sarebbe un passo in avanti importante da parte degli industriali. Il vero problema che vedo in Confindustria sta nella sua capacità di rappresentanza. C’è uno scollamento tra il vertice e la base. Capiamoci, anche il sindacato ha questo problema, ma in misura minore.
Come valuta la gestione del momento da parte della classe politica?
C’è una debolezza intrinseca nella classe politica, in modo trasversale. L’unica strategia è quella di fare debito. Ma senza un piano di crescita e di ripresa, saranno le generazioni future a pagarne i costi.
Tommaso Nutarelli